L’essere madre, spesso, porta con sé difficoltà, angosce, paure e insofferenza che le donne da sole non sempre possono affrontare, rischiando di farsi travolgere da questi sentimenti. Per quanto possa essere assurdo, questo può spingerle a commettere un gesto estremo come il figlicidio.
A partire dal Caso di Cogne, sono sempre di più gli omicidi che riempiono le pagine di cronaca, creando scalpore nell’opinione pubblica.
In Italia, negli ultimi anni, si è registrato un notevole aumento dei casi di figlicidio. Come viene riportato dall’Ansa, nel 2014 sono stati 39, uno ogni dieci giorni, il 77% in più rispetto al 2013 ed in grande crescita anche rispetto agli ultimi 15 anni. Ad aumentare sono soprattutto gli omicidi con vittime sotto i 14 anni, passati da 9 nel 2013 a 24 nel 2014 (+166,7%). Considerando l’intero periodo 2000-2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore. Nel 61,5% dei figlicidi è stato commesso dai padri a fronte del 38,5% delle madri.
Nonostante i dati indichino che siano i padri ad assassinare più frequentemente i propri figli, in realtà uomini e donne sono ugualmente in grado di commettere un delitto tanto crudele. Ma un nuovo studio suggerisce che i motivi per cui sono spinti all’uccisione sono spesso differenti.
Alcune madri, soffrono di un disturbo psichiatrico (psicosi o depressione) così grave da essere convinte che il proprio bambino/bambini staranno meglio nella prossima vita. Altre, al contrario, uccidono i loro figli a sangue freddo, perché vengono percepiti e vissuti come ostacoli ad una vita migliore.
La vendetta, invece, nonostante si pensi sia il movente più comune, è in fondo alla lista di ciò che, in genere, motiva una mamma ad uccidere il proprio figlio.
Si uccide per vendetta e ciò accade anche fin troppo spesso.
L’infedeltà e la perdita della custodia del proprio bambino sono fattori motivanti, abbastanza comuni, nei casi di figlicidio. In alcune circostanze sono addirittura presenti entrambi. Il fattore scatenante è quindi la conflittualità con il marito.
Mariti infedeli (o si ritiene che lo siano), la fine del matrimonio, battaglie legali per l’affidamento sono spesso insopportabili per queste donne e, il solo pensare di poter perdere ancora qualcosa, le porta a commettere gesti tanto estremi. Per questo motivo, preferiscono uccidere i propri figli piuttosto che vederne affidata la custodia al marito. In queste situazioni, purtroppo, il bambino viene utilizzato e sfruttato come strumento per generare sofferenza e attirare l’attenzione di chi si vuole tormentare.
“Se non posso averli io , non li avrai nemmeno tu”.
Un altro elemento comune a queste azioni è il tentativo di suicidio. Molte delle madri che uccidono i loro figli, uccidono anche se stesse o tentano seriamente di farlo. Al contrario, se l’obiettivo è quello di vedere il proprio coniuge soffrire, questi tentativi di suicidio non sono seri quanto si vuole far credere, perché accompagnati dal desiderio di rimanere in vita per il solo ed unico “piacere della vendetta”.
Mentre il figlicidio commesso per vendetta dalle madri sia abbastanza raro statisticamente, la sua esistenza è riconosciuta da secoli. Basti pensare al mito greco di Medea che uccise i suoi due giovani figli per punire l’infedeltà del marito. Questa storia ha fornito una visione unica circa l’uso della uccisione del bambini da parte di un genitore, per infliggere vendetta all’altro.
Questa storia però, non pone sufficiente attenzione alla devastazione psicologica di chi rimane, e alle vite interrotte di chi viene ucciso.
Fonti:
www.psycholgytoday.com
psychcentral.com
www.stateofmind.it