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Terapia Cognitivo Comportamentale funziona

terapia cognitivo comportamentale

La Terapia Cognitivo Comportamentale è attualmente considerata il trattamento d’elezione per la cura di numerosi disturbi di natura psicologica.Possiamo immaginare la TCC come un grande contenitore che racchiude una vasta gamma di metodi e tecniche di comprovata efficacia scientifica.Questo grande contenitore è estremamente elastico, e quindi, sempre pronto a integrare forme di intervento e approcci terapeutici innovativi

Contenuti di questo post:

    La Terapia Cognitivo Comportamentale è attualmente considerata il trattamento d’elezione per la cura di numerosi disturbi di natura psicologica.
    Possiamo immaginare la TCC come un grande contenitore che racchiude una vasta gamma di metodi e tecniche di comprovata efficacia scientifica.
    Questo grande contenitore è estremamente elastico, e quindi, sempre pronto a integrare forme di intervento e approcci terapeutici innovativi ed efficaci.

    Vediamo, in breve, come si è evoluta la TCC dalla sua nascita a oggi.

    Prima onda della TCC

    Le radici della Terapia Cognitivo Comportamentale risalgono ai primi anni del Novecento.
    Furono gli studi di Watson e Rayner sul condizionamento a costituire le fondamenta del Comportamentismo.
    Successivamente, il lavoro che Wolpe e Watson fecero, a partire dagli studi di Ivan Pavlov sull’apprendimento e il condizionamento, indusse Hans Eysenck e Arnold Lazarus a sviluppare innovative tecniche comportamentali di terapia, basate sul condizionamento classico.
    Tra il 1950 e il 1960 la Terapia Comportamentale si diffuse negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in sud Africa grazie agli studi di comportamentisti del calibro di Ivan Pavlov, John B. Watson, e Clark L. Hull.
    Sfruttando le conoscenze in ambito di apprendimento, Joseph Wolpe, sviluppò la “desensibilizzazione sistematica“, una tecnica per il trattamento delle paure e delle fobie, tuttora utilizzata.
    Parallelamente, gli studi di B.F. Skinner sul condizionamento operante, cominciavano a diffondersi e ad ampliare i confini della teoria dell’apprendimento. Sono gli anni del comportamentismo radicale, che poneva scarsa attenzione allo studio dei processi di pensiero.
    Successivamente, Julian Rotter, nel 1954, e Albert Bandura, nel 1969, contribuirono a integrare la Terapia Comportamentale con i loro studi sulla teoria dell’apprendimento sociale, conferendo estrema importanza all’effetto che i processi di pensiero hanno sull’apprendimento e sul
    comportamento.
    L’enfasi che nel primo periodo venne posta sul comportamento e l’apprendimento, caratterizza la “prima onda” della Terapia Cognitivo Comportamentale.

    La Seconda Onda della TCC

    Una nuova sfida invece, si presenta intorno agli anni ‘50 – ‘60. Quando psicologi e psichiatri, del calibro di Ellis e Beck, attraverso le forme di terapia da loro sviluppate (la Terapia Razionale Emotiva e la Terapia Cognitiva), arrivano a porre l’attenzione sul legame tra pensieri, emozioni e
    comportamenti e sul ruolo del pensiero cosciente in ambito psicoterapeutico. Questo momento è noto oggi come “rivoluzione cognitiva” o “seconda onda” della Terapia Cognitivo Comportamentale.
    Nonostante la Terapia Comportamentale e quella Cognitiva, pongano l’accento la prima sui comportamenti e la seconda sui processi mentali, si integrano l’un l’altra costituendo oggi uno degli approcci più efficaci: l’approccio Cognitivo Comportamentale.

    La Terza Onda della TCC

    La cosiddetta “terza onda” della Terapia Cognitivo Comportamentale nasce a 50 anni dai suoi albori.
    Non è possibile fornire una descrizione dettagliata di tutte le terapie di nuova generazione, ma cerchiamo di definire le principali somiglianze e differenze.
    Tra i punti in comune annoveriamo l’estrema importanza conferita al ruolo del comportamento e dei pensieri, come anche l’attenzione posta ai risultati della ricerca scientifica.

    Quindi, cosa c’è di così rivoluzionario?

    Alcune delle principali differenze teoretiche sembrano fare riferimento ai concetti di controllo ed evitamento delle emozioni.
    I rappresentanti della “terza onda” hanno cercato di valutare se i metodi basati sul controllo e la modifica dei pensieri fossero sempre i più utili alla gestione dei problemi. Hanno così verificato che l’eccessiva focalizzazione sui contenuti del pensiero, può talvolta contribuire al mantenimento del
    disagio personale.
    Da qui il tentativo di migliorare le proprie capacità di lavorare con i processi di pensiero piuttosto che con il loro contenuto, come da tradizione.
    In altre parole l’intento è quello di modificare il modo in cui pensiamo e non solo quello che pensiamo.
    La “terza onda” della Terapia Cognitivo Comportamentale pone dunque maggiore enfasi sulla capacità di reagire diversamente ai propri pensieri, senza metterli in discussione o cercare di ridiscuterli integrando le pratiche di Mindfulness e Accettazione all’interno della TCC tradizionale.

    Tra le principali terapie che appartengono alla cosiddetta “terza onda” possiamo annoverare:

    • Schema Therapy
    • Mindfulness
    • Terapia Dialettico Comportamentale
    • ACT Acceptance and Commitment Therapy


    SCHEMA THERAPY


    La Schema Therapy (ST), ideata da Jeffrey Young e colleghi (1990-1999) è un trattamento rivelatosi efficace nel trattamento dei disturbi di personalità e in tutti quei casi di forte disagio, particolarmente resistente al cambiamento (Keegan E., 2005; Hahusseau S., Pélissolo A., 2006).
    La ST è uno sviluppo della Terapia Cognitivo Comportamentale e integra, oltre la TCC, diversi approcci psicoterapeutici quali la Gestalt, l’Analisi Transazionale, l’Ipnoterapia e concetti della teoria dell’attaccamento e delle scuole psicodinamiche, fornendo un modello esplicativo molto
    chiaro e un approccio di trattamento facilmente applicabile. La Schema Therapy si propone quindi come un approccio completo e mirato, ponendo particolare attenzione alla relazione con il paziente.

    Secondo la Schema Therapy ciascuno di noi ha dei bisogni fondamentali che richiedono soddisfazione e se nell’ ambiente di crescita tale soddisfazione è venuta a mancare, allora sperimentiamo una frustrazione dei nostri bisogni primari, sviluppando una visione negativa di noi stessi e dell’altro. Così si strutturano quelli che vengono definiti Schemi Maladattivi Precoci, che condizionano, nel tempo, lo sviluppo relazionale ed emotivo.
    Gli schemi rappresentano gli occhiali con i quali codifichiamo la realtà, le relazioni con l’altro, sia esso un familiare o il partner, un amico o un conoscente. Da questa visione deriva il nostro rapporto con il mondo, con noi stessi, con la vita.
    La Schema Therapy funziona proprio in virtù del suo obiettivo terapeutico: rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento di questi schemi, aiutandolo a trovare strategie di relazione più efficaci per soddisfare i propri bisogni.
    La ST si basa su quattro concetti fondamentali: gli schemi maladattativi precoci (cioè un pattern organizzato di pensieri e comportamenti), gli stili di coping (come una persona reagisce allo schema: evitamento, resa ed ipercompensazione), i mode (ossia modi di essere che raggruppano gli schemi e gli stili di coping) e i bisogni emotivi fondamentali.
    Un ruolo centrale nel processo di cambiamento è la relazione terapeutica, in quanto rappresenta il primo campo  ove rendere il paziente consapevole delle sue modalità disfunzionali, individuare, soddisfare i bisogni del paziente, non colti nell’infanzia, e permettere un attaccamento sicuro.

    Come funziona la Schema Therapy?

    La Schema Therapy lavora in modo diretto sulle emozioni; nel corso della seduta, si ricreano certe particolari condizioni o schemi di rapporto che portano l’individuo a rivivere una determinata situazione.
    L’obiettivo della Schema Therapy è far comprendere alla persona che un certo schema maladattivo, elaborato durante l’infanzia per reagire a una difficoltà, non è più adeguato ai suoi bisogni in età adulta. Inoltre si ripropone di aiutare il paziente a soddisfare i bisogni emotivi fondamentali
    rimpiazzando gli stili di coping maladattativi con altri più funzionali e con modelli comportamentali adattivi. Con questa psicoterapia dunque si cerca di scardinare gli schemi maladattivi esistenti e di rafforzare i comportamenti e gli stati emotivi da adulto che consentono alla persona di soddisfare i
    suoi bisogni più profondi.

    TERAPIA DIALETTICO COMPORTAMENTALE

    La Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) è un trattamento Cognitivo Comportamentale sviluppato dalla dottoressa Marsha Linehan più di 25 anni fa. In origine il protocollo era destinato al trattamento di pazienti a rischio suicidario, per poi estendersi ai pazienti Borderline a rischio di suicidio, fino a diventare il trattamento d’elezione per il disturbo Borderline di Personalità in generale, includendo la complessa sintomatologia che lo caratterizza.
    È stato inoltre utilizzato per il trattamento di svariate altre condizioni come i disturbi alimentari, l’abuso di sostanze, il disturbo post traumatico da stress, l’ansia e il Disturbo Ossessivo Compulsivo.

    Il protocollo di trattamento DBT è adatto ad aiutare pazienti più o meno gravi e complessi, ed è caratterizzato da una serie di fasi.

    Lo scopo principale è stabilizzare il paziente e aiutarlo a raggiungere abilità di auto-controllo. Gli obiettivi vengono stabiliti secondo la seguente gerarchia di  priorità:

    • comportamenti che costituiscono una minaccia per la vita (suicidio o atti auto-lesivi)
    • comportamenti che interferiscono con la terapia (es. saltare spesso le sedute)
    • comportamenti che influiscono negativamente sulla qualità di vita (es. abuso di sostanze)

    La terapia si basa sull’utilizzo di diverse strategie, ciascuna delle quali assolve funzioni specifiche:

    • La terapia individuale è orientata a stimolare la motivazione dei pazienti (es. identificando i fattori specifici che contribuiscono a mantenere i comportamenti problema e fornendo strategie di intervento)
    • Il training di gruppo mira a trasferire importanti abilità di base
    1. capacità di tollerare lo stress – consiste nell’imparare ad accettare e porre attenzione ai fattori che sono fonte di stress piuttosto che nel cercare di modificare le situazioni.
    2. capacità di regolare le emozioni – consiste nell’imparare a modulare e a esprimere le emozioni in modo efficace, evitando di reagire in modo eccessivo a tutto ciò che accade
    3. capacità di costruire e coltivare relazioni interpersonali – consiste nell’imparare a dichiarare i propri bisogni, a dire di no e a gestire i conflitti interpersonali
    4. abilità di Mindfulness – consiste nell’imparare a osservare e a descrivere se stessi e l’ambiente in modo non giudicante. Aiuta a sviluppare una atteggiamento consapevole e a partecipare “pienamente” alle attività svolte come al mondo circostante, momento dopo momento
    • La consulenza telefonica  fornisce le basi per la generalizzazione della abilità nella vita quotidiana
    • Il team di riferimento del terapeuta  ha la funzione di fornire sostegno e indicazioni utili a mantenere alta la motivazione del professionista.

    La DBT è efficace?

    Attualmente la Terapia Dialettico Comportamentale costituisce il metodo più studiato per il trattamento del disturbo di personalità Borderline. Studi controllati randomizzati hanno verificato che la Terapia Dialettico Comportamentale è più efficace rispetto ad altri trattamenti nel ridurre i comportamenti suicidari o autolesivi, i drop out, i ricoveri e i sentimenti di rabbia e ansia.  I resoconti al follow up hanno rilevato un miglioramento globale nel funzionamento individuale dopo un anno di terapia.

    ACT – ACCEPTANCE COMMITMENT THERAPY

    L’Acceptance and Commitment Therapy ACT, è una nuova forma di psicoterapia, con solide basi scientifiche, e fa parte di quella che viene definita la “terza onda” della Terapia Cognitivo Comportamentale (Hayes, 2004).
    L’ACT è basata sulla Relational Frame Theory (RFT): un programma di ricerca di base sulle modalità di funzionamento della mente umana (Hayes, Barnes-Holmes, e Roche, 2001). Questa ricerca suggerisce che molti degli strumenti che le persone utilizzano per risolvere i problemi,
    conducono in una trappola che crea sofferenza.
    L’Acceptance and Commitment Therapy è stata concepita come un’alternativa alle più tradizionali forme di psicoterapia, focalizzando l’attenzione sulla promozione dell’efficacia comportamentale,a prescindere dalla presenza di pensieri spiacevoli e di emozioni di vario grado di intensità.
    In definitiva, ciò che viene richiesto dall’ACT, è un fondamentale cambiamento di prospettiva: uno spostamento nel modo in cui viene considerata la propria esperienza personale.
    Questa moderna terapia comportamentale utilizza interventi di Accettazione e Mindfulness, combinati con strategie di impegno e di cambiamento comportamentale finalizzate ad aiutare i clienti a costruire esistenze più vitali, propositive e positive.
    L’obiettivo che si pone è quello di aiutare i clienti a scegliere ed agire costantemente in modo efficace (comportamenti concreti come definito dai loro valori) in presenza di eventi (cognitivi o psicologici) “privati” difficili o distruttivi.

    L’Acceptance and Commitment Therapy si basa su tre punti fondamentali:

    • Mindfulness: è un modo di osservare la propria esperienza che, per secoli, è stato praticato in oriente attraverso varie forme di meditazione. Recenti ricerche nella psicologia occidentale, hanno provato che praticare la Mindfulness può avere benefici psicologici importanti (Hayes, Follette, & Linehan, 2004). Attraverso tali tecniche si impara a guardare al proprio dolore, piuttosto che vedere il mondo attraverso di esso; si può comprendere che ci sono molte altre cose da fare nel momento presente, oltre a cercare di regolare i propri contenuti psicologici.
    • Accettazione: si basa sulla nozione che, di norma, tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo, intrappolandosi ancora di più in esso e trasformando l’esperienza in qualcosa di traumatico. L’ACT opera una chiara distinzione tra dolore e sofferenza. Per la natura del linguaggio umano, quando ci si trova di fronte ad un problema, la tendenza generale è di capire come attaccarlo.

    Capire come liberarci dagli eventi indesiderati (come predatori, freddo, inondazioni) è sempre stato un fattore essenziale per la sopravvivenza della razza umana; tuttavia il tentativo di usare questa stessa organizzazione mentale dinanzi alle proprie esperienze
    interne non funziona. Quando ci si imbatte in un evento interno doloroso infatti, si tende a fare ciò che si fa solitamente: organizzarlo e risolverlo per sbarazzarsene. In realtà però le esperienze interne non sono uguali agli eventi esterni e i metodi per cercare di eliminarle non funzionano. Deve essere chiaro che l’accettazione, come viene intesa in questo contesto, non è un atteggiamento nichilistico auto-distruttivo ; né un tollerare il proprio dolore, o il sopportarlo, ma è un vitale e consapevole contatto con la propria esperienza.

    Impegno e vita basata sui valori: quando si è coinvolti nella lotta contro i problemi psicologici spesso si mette la vita in attesa, credendo che il proprio dolore debba diminuire, prima di iniziare nuovamente a vivere. L’ACT invita a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita intraprendendo azioni impegnate in direzione di quelli che sono i propri valori.
    Secondo il modello ACT ciò che promuove il cambiamento e il benessere psicologico è un insieme di competenze di accettazione (provare cioè una strada alternativa alla gestione della sofferenza, proprio perché quelle utilizzate fin ad ora hanno causato una spirale di sofferenza) e impegno (verso i valori, aiutare il cliente ad esplorare i propri scopi e perseguirli (acceptance and commitment), che sono i due elementi chiave della terapia. Tali atteggiamenti, se mantenuti e sperimentati nel tempo, portano alla“flessibilità psicologica”, definita come la capacità di contattare
    il momento presente, e basandosi su ciò che la situazione consente, cambiare o persistere nel comportamento, in accordo con i valori personali.
    L’interesse mondiale per il modello ACT del cambiamento comportamentale è supportato da un’ampia serie di ricerche. Si è dimostrata sorprendentemente efficace nell’aiutare le persone afflitte dai problemi più diversi, dalla depressione all’ansia fino al dolore cronico e persino alla
    tossicodipendenza. ACT è stato proposto per il lavoro  sui traumi, così come per quelli con fobie e comportamento ossessivo (Twohig, Hayes, e Masuda, 2006).
    L’ACT si è dimostrata molto efficace anche per problemi meno gravi che milioni di noi devono affrontare, come smettere di fumare e ridurre lo stress sul lavoro. A differenza della maggioranza delle altre terapie, l’ACT ha un solido fondamento nella ricerca scientifica e per questo sta rapidamente acquistando consenso fra gli psicologi di tutto il mondo. Scopo dell’ACT è aiutarti a vivere una vita ricca, piena e significativa affrontando nel contempo efficacemente il dolore nel quale inevitabilmente ci imbattiamo. L’ACT rende tutto questo possibile attraverso l’uso di metafore, paradossi, ed esercizi esperienziali. Molti interventi sono giocosi, creativi, e intelligenti.

    I membri dello staff dell’Istituto Watson, grazie al costante aggiornamento, utilizzano i protocolli terapeutici di terza generazione nell’ambito dell’attività clinica, integrandoli all’approccio tradizionale.
    L’insegnamento delle terapie di “terza onda” rientra inoltre nel piano didattico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.

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