Come seguire il sentiero della mindfulness per gestire l’ansia.
Un disturbo d’ansia è qualcosa che va oltre il senso di nervosismo o tensione.
Una persona ansiosa mostra uno stato di allerta esagerato e costante nei confronti di potenziali minacce (il più delle volte irrazionale), pensieri negativi intrusivi e ripetitivi, uno stato di iper attivazione e paura, la risposta di attacco-fuga è sempre pronta a scattare.
Gestinre l’Ansia con la Mindfulness
L’ansia è responsabile dell’insorgenza di una serie di sintomi fisici disturbanti come tachicardia, aumento della pressione e problemi digestivi. I sintomi che caratterizzano l’Ansia Generalizzata e il disturbo d’Ansia Sociale possono essere talmente invalidanti da limitare il normale funzionamento individuale.
La terapia Cognitivo Comportamentale è uno dei trattamenti d’elezione per i disturbi d’ansia. L’idea di base è che le persone che soffrono di disturbi d’ansia tendono a sovrastimare il pericolo che qualcosa di terribile possa accadere nella propria vita e a sottostimare la propria capacità di fronteggiarlo.
La terapia cognitivo comportamentale cerca di aiutare i pazienti a sostituire i pensieri negativi con pensieri più funzionali, e la risposta di attacco-fuga con strategie di fronteggiamento più adeguate. Il paziente e il terapeuta collaborano nel processo di cambiamento.
Nell’ambito della nuova “onda” della terapia Cognitivo Comportamentale, le terapie basate sulla mindfulness hanno l’obiettivo di cambiare la relazione che la persona ansiosa ha con i propri pensieri.
Nella terapia basata sulla mindfulness, la persona si concentra sulle sensazioni del corpo che emergono quando si sente in preda all’ansia. Invece di evitare o rifuggire queste sensazioni, la persona rimane presente e sperimenta i sintomi dell’ansia nella loro completezza. Invece di evitare i pensieri ansiosi, la persona si apre a essi nel tentativo di realizzare e divenire consapevole che i pensieri non corrispondono letteralmente alla realtà.
Sebbene possa sembrare contro-intuitivo, sperimentare appieno l’ansia, permette alle persone ansiose di comprendere quanto siano realmente fuse con i propri pensieri negativi, e di riuscire con la pratica a lasciarli andare.
Rimanendo presenti al proprio corpo, imparano che l’ansia che provano è solo una reazione a delle minacce percepite. Imparando a non-reagire agli eventi percepiti come pericolosi, riescono a placare l’erronea risposta di attacco-fuga.
Ricerche Mindfluness
All’ Università di Bergen in Norvegia, Vollestad, Nielsen, e Nielsen hanno passato in rassegna 19 studi sull’efficacia della Terapia Basata sulla Mindfulness e hanno verificato che effettivamente si verifica una sostanziale riduzione dei sintomi.
I ricercatori hanno inoltre verificato che la terapia basata sulla mindfulness aiuta a ridurre i sintomi della depressione. Dato importante se consideriamo che sintomi di depressione si presentano nel 20-40 percento delle persone che soffrono di Ansia Generalizzata e Ansia Sociale
In un modo che sembra paradossale dunque, un metodo per ridurre l’ansia è quello di essere “PIENAMENTE E CONSAPEVOLMENTE ANSIOSI”. È in questo modo che l’ansia si rivela essere il risultato di una percezione falsata e ingannevole, e quando questo avviene l’ansia si attenua.
Ad ogni modo tutti tendiamo a preoccuparci. Si può trattare di questioni di minore o maggiore importanza come le relazioni che intratteniamo, il lavoro o la direzione della nostra vita. O di incombenze quotidiane come la pianificazione della giornata come anche di quelle piccole “frasi infelici” che avremmo potuto evitare di dire. Preoccuparsi è normale, ma il rimuginio può sopraffarci al punto da impedirci di partecipare pienamente alla nostra esperienza e a quanto accade momento dopo momento.
E quando sconfina, può portarci a provare ansia o al limite estremo un attacco di panico.
Ci ritroviamo dunque a passare la maggior parte del tempo nella nostra testa, a pensare. Analizziamo, pianifichiamo, ci poniamo obiettivi lavorativi, facciamo confronti, etichettiamo e giudichiamo le nostre esperienze e riflettiamo su e valutiamo le nostre emozioni. Molti di noi passano molto tempo a ripensare al passato o ad anticipare il futuro. La mente è occupata a raccontare storie, a interpretare le esperienze secondo il proprio punto di vista (che non per forza corrisponde alla realtà oggettiva).
Quando ci perdiamo nella preoccupazione è facile scambiare i nostri contenuti mentali o le paure con la realtà, invece di riconoscerli come pensieri. Ed è ancora più vero quando i pensieri sembrano talmente reali da favorire l’insorgere di sintomi fisici ed emozionali. È possibile interpretare male il comportamento di un amico che non ci ha richiamato o di un collega che non ci ha salutati. Possiamo arrivare a immaginare il peggio prima di una presentazione in pubblico o un colloquio. Lo stomaco si contrae, il cuore batte veloce, il respiro si fa più corto e veloce. La testa può diventare leggera e si cominciano a sentire formicolii alle dita dei piedi e delle mani. Prima di accorgersene ci si ritrova in preda al panico, e le conseguenza sulla nostra vita possono essere estremamente negative.
Tutti possiamo vivere questa esperienza. Nessuno deve sentirsi solo.
La buona notizia è che c’è un momento in cui si può ancora intervenire, ovvero quando cominciate a notare di esservi persi nelle preoccupazioni, di avere pensieri ripetitivi o di provare sensazioni di stordimento o di tensione corporea. Spostando l’attenzione dai pensieri alle sensazioni del corpo e del respiro, è possibile passare dalla modalità del “pensare” a quella del “percepire”. Questo permette di alterare automaticamente le risposte fisiche, psicologiche ed emotive.
Se voi, come tante persone provate disagio, rabbia o frustrazione nei vostri confronti per il fatto di sentirvi in ansia, e cercate di opporre resistenza alla vostra esperienza, questo non farà altro che intensificare l’ansia e peggiorare la situazione. Invece che combattere contro la vostra esperienza dicendovi che non dovreste provare ciò che provate, o tentando di non sentire o allontanare il disagio, è importante che vi permettiate di sentire ciò che sentite. Se imparate a divenire consapevoli di ciò che provate e permettete che le cose siano come sono in quel momento, è più probabile che l’intensità diminuisca e passi.
Tecniche Mindluness contro l’Ansia
Di seguito tre semplici e veloci tecniche mindfulness che potete utilizzare per gestire le preoccupazioni e l’ansia, come anche per placare i primi segnali dell’insorgere dell’attacco di panico.
- ANCORAGGIO
Uno dei modi migliori per calmarsi è “ancorarsi” dirigendo l’attenzione verso la parte bassa del corpo. Cominciate a concentrarvi sui vostri piedi e a sentire come stanno all’interno dei calzini e delle scarpe, a contatto col pavimento. Espandete l’attenzione dirigendola prima verso la parte inferiore delle gambe e poi sulle cosce. Avvertite una sensazione di leggerezza o pesantezza? Ora includete la percezione del vostro respiro, sempre più rilassante ogni volt anche espirate.
Questo è un buon modo per ancorarsi ed è possibile farlo in ogni momento, con gli occhi aperti o chiusi, mentre siete seduti o mentre camminate. Ancoratevi e poi, respirate. - CONTARE IL RESPIRO
Questa tecnica può essere utilizzata insieme all’ancoraggio o da sola. Prima potete ancorarvi. Alla prossima inspirazione, contate mentalmente fino a 6, e durante l’espirazione, contate mentalmente fino a 10. La tecnica ha lo scopo di rallentare sia l’inspirazione che l’espirazione. L’espirazione è inoltre più lenta dell’inspirazione, forzandovi a rilasciare più biossido di carbonio, rallentando il ritmo cardiaco e favorendo uno stato di calma.
Se il livello di ansia è altro e non riuscite a contare, ripetete “dentro” o “inspiro” ad ogni inspirazione e “fuori” o “espiro” ad ogni espirazione.. ricordandovi di cercar di espirare il più a lungo possibile. Andate avanti tutto il tempo che vi serve. - RESPIRARE CON LE DITA
Si tratta di un altro metodo per contare il respiro. Mettete una mano di fronte a voi con il palmo rivolto verso il viso. Con l’indice dell’altra mano, tracciate il lato esterno del pollice fino alla punta mentre inspirate, fate una pausa sull’apice trattenendo il respiro, e poi discendete lungo l’altro lato mentre espirate. Questo è un respiro. Proseguite allo stesso modo tracciando i contorni di tutte le dita e al termine del ciclo, tornate indietro e ripetete in senso contrario. Questa pratica vi da la possibilità di concentrarvi sia dal punto di vista visuale che cinestesico. È utile se l’ambiente circostante è troppo rumoroso e diventa difficile concentrarsi mentalmente. È anche molto semplice da insegnare a bambini adolescenti.
Mangiare facendo Mindfulness
C’è mangiare e Mangiare. Una cosa è ingurgitare il cibo immersi nei propri pensieri o distratti dalla tv, un’ altra è concentrare l’ attenzione con i propri sensi su ciò che si mangia e gustarsi appieno il pasto.
Praticando la Mindfulness, cioè la meditazione consapevole, sul cibo si riesce anche a fare questo, scoprendo così un nuovo modo di nutrirsi
OLFATTO
Cominciamo dall’olfatto. Prima di vedere il cibo, infatti, prima che le pietanze giungano in tavola, i profumi che vengono dalla cucina ci avvertono; chi conosce un po’ l’arte della cucina e sa ciò che mangia, riconosce con l’olfatto il cibo che gli viene offerto. Gli aromi sono essenziali per iniziare a gustare un piatto, e le cucine delle diverse culture del mondo si riconoscono dai profumi che emanano: profumo di curry dell’Oriente, di pepe del Medio Oriente, di verza dal Nord Europa o dalle cucine dei frati, e si potrebbe continuare all’infinito. Svilisce un elemento fondamentale chi si avventa sul cibo senza prima odorarlo! Con il suo profumo, il cibo comincia a entrare in noi, comincia a risvegliare il nostro discernimento e ci spinge al giudizio: buono, meno buono, cattivo. Gli odori si fissano facilmente nella memoria e, quando ritornano, ci rimandano ai ricordi, all’infanzia, alla «nostra» cucina materna. Certi momenti effimeri di un pasto in cui abbiamo sentito profumi che ci hanno fatto trasalire, hanno un profumo di eternità.
VISTA
Dopo l’olfatto la vista, che può diventare anche contemplazione: a volte si guarda estasiati un peperone nella sua semplicità, a volte si è catturati dalla vista di piatti non solo elaborati, ma cesellati, ricamati. Allora il cibo è celebrato da sé stesso, dal modo in cui è presentato dal cuoco e inviato a tavola. Occorre avere il coraggio di denunciare che oggi non si sa più vedere, contemplare il cibo in tavola, mentre si impone il voyeurismo di chi osserva l’arte della cucina sui mass media. Sui canali televisivi o sulla carta patinata quanti piatti si contemplano, dominati come siamo dalla finzione, e poi non sappiamo più guardare un pane nella sua semplice regalità o una testa d’aglio per fare una bruschetta… Certo, a queste condizioni si può mangiare senza vedere ciò che si mangia, ingurgitando cibo spazzatura. Claude Fischer è arrivato a coniare la sigla Ocni, cioè «oggetti commestibili non identificati», per indicare questi cibi che si mangiano senza guardarli, da parte di molti che «non sanno quello che vedono». Quanti cenacoli, quante tavole di Emmaus dipinti sulle pareti delle nostre chiese, che certamente insegnavano qualcosa sul vedere. Ma oggi chi insegna l’arte del vedere il cibo?
TATTO
Vi è poi il toccare, il tatto, pure questo importante, anche se oggi per molti cibi ci serviamo delle «protesi» del cucchiaio e della forchetta. Ma prima di gustare il cibo, chiudendolo tra lingua e palato, prima di macinarlo con i denti, lo sentiamo tramite l’esperienza tattile. Prendendo in mano una mela oppure una pesca, si hanno esperienze del toccare molto diverse.
GUSTO
Il tatto diventa poi gusto, ed è proprio il gusto il senso più importante per chi mangia o beve. Ognuno di noi sviluppa sensibilità molto diverse: la cultura, la famiglia, la terra a cui apparteniamo creano in noi preferenze o addirittura rifiuti. I cibi, con i loro sapori, plasmano il nostro gusto, la vita poi ce li fa interpretare in modo personalissimo, la storia e i legami affettivi vissuti li caricano di significati infiniti. Non è neppure senza importanza l’aver mangiato un cibo in compagnia di qualcuno invece che di qualcun altro: un cibo possiamo sentirlo cattivo perché l’abbiamo scoperto o mangiato con chi preferiamo non ricordare… Quanti figli non sono riusciti a mangiare certi alimenti finché hanno vissuto nella casa paterna, solo per il fatto che li mangiava il genitore con cui erano in conflitto? Il cibo, con il suo gusto, può riconciliare, aiutare l’amore e la comunione, ma può anche accendere antipatia, opposizioni e addirittura violenza. Ognuno di noi conosce, perché ne è stato testimone, questa possibilità: è sufficiente fare un’anamnesi dei pasti vissuti in famiglia, o in convivenza, o in comunità, per avere questa conoscenza della grazia o della disgrazia del «gustare»!
UDITO
Infine, l’ultimo senso implicato nel gustare il cibo è l’udito, anche se a prima vista lo diremmo estraneo all’atto del mangiare. Un cuoco è chiamato a esercitare l’udito in modo da memorizzare le diverse cotture dei cibi: dal sobbollire del ragù, al friggere delle patate, al rosolare di un roast beef, quanti suoni, direi musiche diverse, provengono dalle cotture. E quando si annaffia un arrosto con il vino, quello sprigionarsi insieme di vapore, profumo e crepitio dell’olio dà le vertigini. Il vero cuoco, prima di guardare, sente se è il caso di intervenire per non lasciar bruciare il cibo. Poi, quando si mangia, il suono dei cibi in bocca ci giunge alle orecchie attraverso i muscoli della faccia: il frantumare un grissino con i denti, il succhiare una mozzarella, il masticare una bruschetta al pomodoro… È significativo – come mi dissero un giorno dei beduini nell’Atlante, in Marocco – che prima di bere guardiamo il vino nel calice, lo annusiamo con cura, lo sentiamo sulle labbra e infine lo gustiamo in modo differente: sulla lingua, o buttandolo verso il palato, o facendolo danzare tra i denti, o tra le guance, o deglutendolo… Solo il senso dell’udito sembrerebbe escluso. E allora – mi dicevano quei berberi sapienti – prima di bere si battono insieme i calici con l’augurio di salute: il «cin cin» è sonoro, e così anche l’udito è implicato. Mangiare e bere con tutti i sensi è un’operazione necessaria: ne va non solo del gusto, ma del senso stesso del mangiare.
Tutti i sensi implicano, chiedono di trovare il senso dei sensi, anche in ciò che mangiamo o beviamo.
Inoltre le ricerche sostengono che la mindfulness sul cibo è un’ importante tecnica nei disturbi alimentari.
Aiuterebbe le persone che soffrono di Anoressia a riappropriarsi del gusto del cibo e le persone con obesità ad esser più consapevoli della quantità del cibo consumata. In uno studio di Telch (2000), per esempio, sono stati valutati gli effetti della DBT su un gruppo di 11 donne affette da disturbo da alimentazione incontrollata. Queste parteciparono per 20 settimane a incontri di circa due ore. Nove pazienti su undici presentarono una completa risoluzione delle abbuffate e non incontrarono più per lungo tempo i criteri per un disturbo da alimentazione incontrollata. Impararono, infatti, a riconoscere e osservare le proprie emozioni e dunque a regolare le emozioni negative senza ricorrere al cibo.
Uno studio di follow up a sei e sette mesi confermava i risultati iniziali. In un altro studio Baer riporta una riduzione dei sintomi del disturbo alimentare (abbuffate, preoccupazioni circa il peso e la forma del corpo) in pazienti che praticavano meditazione di consapevolezza. Tutte le persone possono beneficiare di simili esercizi e, dato che mangiamo (almeno) 3 volte al giorno, vale la pena arricchir questa esperienza!